venerdì 24 gennaio 2014

Senigalliesi, miglioriamo la qualità dei nostri desideri!

Per uscire dalla crisi, servono sogni diversi, non i vecchi incubi 

Il progetto per l'ex Sacelit di Senigallia
Sogni irrealizzati e vecchi incubi non servono a rilanciare la città. Il futuro prossimo delle nostre comunità ha come prima condizione quella di uscire dal bad trip degli anni trascorsi per costruire insieme luoghi in cui ogni singolo cittadino possa dare e ricevere il meglio di quello che veramente serve.
A inizio d'anno un quotidiano ha "interrogato" un certo numero di senigalliesi su cosa si aspettano dal nuovo anno, e pubblicato l'intervista sotto il titolo: "Il 2014 sia l'anno delle grandi opere". Così abbiamo potuto conoscere attese e propositi di Enrico Giacomelli, presidente del Gruppo Imprenditori Senigalliesi; Maurizio Memè, vicesindaco; Giacomo Cicconi Massi, della Confartigianato; Fabrizio Volpini, assessore ai servizi sociali; Mauro Uliassi, ristoratore; Claudio Moroni, presidente della Pallacanestro Senigallia; Valentino Mandolini, presidente della Vigor; degli avvocati Riccardo Pizzi e Corrado Canafoglia; del presidente degli Albergatori Marco Manfredi; e di Angelo Di Liberto, uno degli organizzatori del Summer Jamboree. 
La gran parte di loro si è espressa con intelligente prudenza su quello che potrà venire parlando di rilancio del lavoro, continuità dei servizi alla persona, valori dell'associazionismo sportivo, di un più curato verde urbano, della possibilità di avere un campo da golf, tutte cose desiderabili e ragionevolmente realizzabili col giusto impegno. 

In mezzo a questi desideri, però, di sono cose che personalmente desidero meno e cose che credo siano per la città "non desiderabili". 
Una è dove il vicesindaco dice di augurarsi "lo sblocco del patto di stabilità perché questo consentirebbe al Comune di tirare fuori dal cassetto progetti esecutivi che ora sono bloccati", perché "farli ripartire significa anche dare lavoro alle nostre imprese". Non è che preoccupa la maggiore libertà di investimento che ne deriverebbe, ma cosa il Comune potrebbe fare con quei soldi lì. Bisogna avere un'ottima opinione del contenuto dei cassetti comunali per immaginarsi che contengano qualcosa di buono, o qualcosa di desiderabile dalla maggiorità dei cittadini; e toccherebbe che Memè dicesse prima cos'è che lui desidera in nome e per conto di quarantacinquemila persone. A quali imprese poi pensa l'assessore, e a quali posti di lavoro da riattivare coi progetti comunali? Ha con sé un esempio pre-crisi cui fare riferimento, una prova concreta cui sia possibile volgere il pensiero? Alla s.r.l. con unico responsabile per quarantamila euro che ha portato a termine la Portasole? Ai terzisti e subterzisti che ci hanno lavorato? Agli elettricisti che dovranno portare una scala da pompieri anche solo per cambiare una lampadina? Ai giardinieri privati che dovrebbero curare la piazza pubblica che autorità civili e religiose con tanto di fanfara dedicarono a Pio IX nel giorno dell'inaugurazione, prima di ricordarsi che non hanno i soldi per annaffiare i fiori?

L'area ex Sacelit di Senigallia: lavori fermi da tempo
Il responsabile di Confartigianato, poi, si lancia senza paracadute nel suo sogno a occhi aperti: "Vorrei che il cantiere della Sacelit ripartisse. Speriamo che il progetto possa essere ripreso". Ma questa non è una speranza: è una punizione! E' perseveranza diabolica! Forse è meglio sognare qualcos'altro. 
Per alcuni motivi generali e per molti particolari. Generali: ma davvero qualcuno ancora crede che il nostro paese possa uscire dalla crisi (la luce in fondo al tunnel) e riprendere il proprio costume di spesa da dove l'aveva lasciato, stessi modi, stessi interessi, stesse banche, stessi compratori, stessi beneficiari, stessi circuiti, come se non fosse successo niente? Particolari: riprendere il progetto Italcementi vorrebbe dire non avere capito che quanto combinato tra Comune di Senigallia e l'imprenditore Pietro Lanari non è fallito a causa della crisi (che era già conclamata a partire dal 2007 e fortemente recessiva dal 2010), ma per una serie aggravamenti dei costi nei vari passaggi e di vicissitudini connesse con il piano finanziario dell'opera stessa; è fallito per l'irrealizzabilità dell'albergo a cinque stelle (lo sapevano tutti meno i proponenti) e l'invendibilità a quei prezzi; è fallito perché in troppi (banca e politica più ancora che impresa) si sono precipitati a mungere la mucca prima ancora che avesse sgravato. 

Se sogniamo diverso, e se pensiamo all'importanza di quell'area, bisognerà farlo coi piedi per terra e ragionando di cosa veramente conviene. Come precondizione converrà innanzitutto disoccupare quell'area dai brutti sogni. L'opportunità è data dall'avvenuto passaggio di parte dell'area a una nuova società, ed è anche legata ad altri fattori comprese le vicende giudiziarie di Banca Marche e finanziarie dello stesso Lanari. In queste condizioni, è ancora valida la Convenzione? E' ancora opportuno riproporre il Piano d'area che ha consentito all'architetto Portoghesi di inventare le torri? La nostra città ha proprio bisogno di quelle torri per di rinascere turisticamente? O ci vuole altro? Non abbiamo sempre detto che a Senigallia ci sono pochi divertimenti? Da tenere aperti anche d'inverno? Distribuiscono di più quelli o le nove torri gemelle? 

"L'anno che sta arrivando – affermò Lucio Dalla scrivendo a un caro amico – tra un anno finirà". Passiamolo dunque per realizzare sogni migliori a partire da subito, ossia dai chiarimenti necessari, sapendo però che solo voltando pagina radicalmente noi tutti avremo un futuro.

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